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NUTRIGENOMICA

L’efficacia di una dieta dimagrante può dipendere non solo dall’alimentazione prescritta, bensì dal DNA di chi la segue. A scoraggiare i fan delle diete “pret a porter” proposte a tutti nella stessa versione, è uno studio americano su un centinaio di donne in sovrappeso, coordinato da Christopher Gardner della Stanford University e presentato alla conferenza annuale dell’American Heart Association.
Gli esperti hanno dimostrato che, per funzionare al massimo, una dieta deve trovare in chi la adotta un profilo genetico predisposto a reagire a quel particolare schema alimentare.
Gli scienziati in questo studio hanno esaminato il DNA di oltre 100 donne che cercavano di dimagrire con varie diete. In particolare hanno analizzato 5 geni collegati al metabolismo dei grassi e dei carboidrati.
Osservando che, se il regime dimagrante adottato “incrociava” il genotipo più adatto a rispondere a quel tipo di alimentazione, in un anno le pazienti perdevano in media circa il triplo rispetto a quelle che seguivano una dieta geneticamente sbagliata. Risultati che potrebbero aprire a un approccio finora inedito alla perdita di peso.
Sfruttare le informazioni nascoste nel Dna, potrebbe aiutare a combattere l’epidemia dei chili di troppo che dilaga nel mondo industrializzato. Il nostro studio nutrizionale fornisce anche questa possibilità di servizio.

  • La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale. L’incidenza di questa intolleranza in Italia è stimata in un soggetto ogni 100/150 persone. I celiaci potenzialmente sarebbero quindi 400 mila, ma ne sono stati diagnosticati intorno ai 85 mila. Ogni anno vengono effettuate cinque mila nuove diagnosi ed ogni anno nascono 2.800 nuovi celiaci, con un incremento annuo di circa il 10%. La celiachia è riconosciuta da tempo come malattia ereditaria, legata al complesso maggiore di istocompatibilità o HLA. Questa patologia autoimmunne è caratterizzata da un danno della mucosa intestinale innescato da una intolleranza al glutine presente in cereali quali frumento, orzo, segale, miglio e avena. La malattia celiaca è associata alla presenza di antigeni HLA di classe II DQ2 e DQ8. La predisposizione genetica legata al sistema HLA spiega solo parzialmente la presenza di questa patologia; tuttavia la stretta correlazione permette di utilizzare l’indagine di HLA di classe II per l’identificazione di soggetti a rischio. Malgrado il forte legame tra HLA e malattia infatti, nei consanguinei compatibili con HLA identici c'è concordanza per la malattia solo nel 25-50% dei casi, mentre nei gemelli omozigoti la concordanza è di poco inferiore al 100% (vale a dire che se un gemello soffre del disturbo è quasi impossibile che non ne soffra anche l'altro). Il test della tipizzazione HLA deve essere quindi considerato un test predittivo, in quanto solo in caso di negatività (ovvero il mancato riscontro degli aplotipi HLA-DQ2 e/o DQ8) si può escludere la patologia, mentre in caso di positività devono essere condotte indagini più approfondite prima di poter affermare la effettiva presenza della malattia.
  • I lipidi o grassi svolgono un ruolo fondamentale nell'organismo umano. Essi costituiscono una componente fondamentale delle membrane cellulari e svolgono molteplici funzioni nel metabolismo cellulare, oltre a costituire una riserva energetica fondamentale per l’organismo. Un corretto metabolismo dei grassi è fondamentale per il mantenimento di uno stato di buona salute. Soprappeso e obesità, così come l’alterazione dei livelli plasmatici dei lipidi (alti livelli di colesterolo e trigliceridi), aumentano infatti il rischio di sviluppare molte patologie, fra cui patologie cardiovascolari e diabete di tipo II. L’analisi di varianti genetiche a carico del gene dell’apolipoproteina A1 (APOA1), il componente proteico principale della lipoproteina ad alta densità o HDL (colesterolo "buono"), consentono di individuare la capacità individuale di rispondere alla assunzione di grassi polinsaturi della famiglia degli Omega-3, che costituiscono un ben noto fattore protettivo per le patologie cardiovascolari. Il gene FTO (fat mass and obesity associated) svolge un ruolo fondamentale del processo di accumulo e mobilizzazione dei grassi (lipolisi). L’analisi di varianti genetiche a carico di questo gene individuano il rischio individuale di accumulare i grassi e le probabilità di sviluppare il diabete di tipo II in stretta associazione con le abitudini alimentari. Il test genetico è quindi uno strumento importante per poter scegliere il regime alimentare più adatto in relazione alla propria efficienza nel metabolizzare i grassi.
  • L’acido folico (folato o vitamina B9) non è prodotto dall’organismo umano, che dipende per la copertura del proprio fabbisogno dall’assunzione con gli alimenti e dalla sintesi effettuata dalla flora batterica intestinale. La vitamina B9 è essenziale per la sintesi del DNA e delle proteine oltre che per la formazione dell’emoglobina; negli ultimi decenni inoltre è stata riconosciuta essenziale nella prevenzione delle malformazioni neonatali. Una corretta introduzione dietetica di acido folico contribuisce anche a prevenire altre situazioni di rischio per la salute, ad esempio regolando i livelli ematici dell’aminoacido omocisteina, la cui concentrazione risulta associata al rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Inoltre il coinvolgimento dei folati nei processi proliferativi ne determina un ruolo importante nella prevenzione delle patologie tumorali. Polimorfismi comuni nel gene codificante per l’enzima metilen-tetraidrofolato-reduttasi (MTHFR) determinano una riduzione dei livelli plasmatici di acido folico che può causare un aumento dei livelli plasmatici di omocisteina. La presenza di questi polimorfismi determina quindi una variabilità individuale che può riflettersi sulla suscettibilità a sviluppare diverse patologie, ma che può essere modulata da una dieta adeguata.
  • Il test comprende tutti i profili nutrizionali descritti sopra.
  • L’intolleranza al lattosio è l’incapacità di digerire quantità significative di lattosio causata da scarsità dell’enzima lattasi a livello intestinale. Senza la lattasi, il lattosio nel latte non può essere digerito pertanto rimane nell’intestino dove viene fermentato dalla flora batterica producendo grossi quantitativi di gas che provocano rigonfiamento, flatulenza e diarrea. L’intolleranza al lattosio in età adulta influenza inoltre in modo significativo l’assorbimento del calcio e la densità ossea. L'intolleranza al lattosio è determinata da fattori genetici e ambientali. In età adulta, l’intolleranza geneticamente determinata interessa il 30-70% della popolazione italiana. E’ stato dimostrato che un polimorfismo funzionale del gene LPH è correlato con i livelli di attività della lattasi in accordo con i risultati ottenuti da test convenzionali. Il test genetico permette di distinguere tra l'intolleranza al lattosio tipica dell’età adulta e la forma indotta secondariamente da patologie gastrointestinali o da esposizione a parassiti intestinali. Il test genetico è quindi importante per formulare una corretta diagnosi della intolleranza al lattosio.
  • Il processo di detossificazione comporta la trasformazione e la eliminazione di sostanze tossiche potenzialmente dannose per il nostro organismo, che possono essere introdotte con i cibi, il fumo o attraverso l’esposizione ad agenti inquinanti. Le tossine che si accumulano nel nostro organismo danno origine alla formazione dei radicali liberi, sostanze che possono arrecare seri danni innescando un processo chiamato stress ossidativo. Un alto carico di radicali liberi può portare allo sviluppo di processi infiammatori e pertanto aumenta il rischio di sviluppare patologie come il diabete e il cancro, oltre a favorire l’invecchiamento precoce. L’espressione e la regolazione coordinata degli enzimi della detossificazione ed il loro equilibrio nelle cellule degli organi bersaglio possono determinare la predisposizione allo sviluppo di numerose patologie. Il citocromo P450 1A2 (CYP1A2) e la N-acetiltransferasi-2 (NAT2) sono espressi prevalentemente nel fegato, dove svolgono la maggioranza delle reazioni della Fase I e II del processo di detossificazione. Le glutatione-S-transferasi M1 e T1 (GSTM1 e GSTT1) sono enzimi della fase II della detossificazione che catalizzano la coniugazione di diversi agenti potenzialmente mutageni con il glutatione, favorendone l'eliminazione. La superossido-dismutasi-2 (SOD2) è un enzima che ha il compito di arginare il surplus di radicali liberi. L' attività di questi enzimi può essere alterata dalla presenza di polimorfismi genetici, determinando l’accumulo di tossine nell’organismo e la predisposizione allo sviluppo di diverse patologie. Il test può quindi fornire la base su cui modulare il proprio regime alimentare e minimizzare i rischi determinati dalla scarsa metabolizzazione di questi composti.
  • La vitamina D promuove l’assorbimento intestinale e renale del calcio, indispensabile per il metabolismo osseo sia nello sviluppo del bambino che nell’adulto, ed è inoltre coinvolta nella modulazione della risposta immunitaria e nei processi antiproliferativi, svolgendo un ruolo essenziale nella prevenzione dei tumori, in particolar modo quelli del colon-retto. L’azione della vitamina D è mediata dal suo recettore, codificato dal gene VDR, che influenza l'assorbimento della vitamina D ed il suo effetto nei processi metabolici. Sono conosciute varianti funzionali nel gene umano VDR in grado di modularne l'attività. La presenza di queste varianti può alterare la capacità individuale di assimilare ed utilizzare la vitamina D contenuta negli alimenti, influenzando i processi biologici da essa controllati. In questi casi è possibile ripristinare il corretto equilibrio metabolico modificando il proprio regime alimentare, bilanciando le carenze indotte dalla propria costituzione genetica.